martedì 1 maggio 2018

Ma i musicisti lavorano?


Tutti sconvolti per i dazi di Trump. Guerra commerciale! Attenzione, storia di soldi.
Nella mia mente si innescano pensieri, qualcosa come "anche io nel mio piccolo, ne so qualcosa". Comincio a pensare a quella categoria di lavoratori assolutamente minoritaria e residuale, ma che conosco tanto bene: quella  degli artisti, che è abituata da tempo ai dazi americani. In particolare, conosco bene la storia dei dazi per i musicisti, e vado subito alla spiega.



Regola
per ottenere un visto di lavoro che consenta di suonare concerti negli U.S.A. (dietro regolare invito da parte di un direttore artistico locale, ma questo è un dettaglio), i musicisti di tutto il mondo devono dimostrare al sindacato dei musicisti americani (AFM, American Federation of Musicians) di essere "internazionalmente noti" (in Italia ce la farebbero solo Laura Pausini, Andrea Bocelli, il Volo e Ennio Morricone) oppure "culturalmente unici" (daje de folk, mandolino o zampogna purché sia musica tradizionale del proprio paese d'origine, musica nazionale insomma, musica di quartiere va anche meglio). 

Questionario semplice:


se avete risposto B, potete proseguire. Se avete risposto A, lasciate perdere, va bene così.


Per chi ha risposto B, riflessioni in ordine sparso:

1) anche negli Stati Uniti, i sindacati ignorano cosa sia l'arte in generale, e la musica in particolare;
2) a giudicare dalla quantità di visti negati, soprattutto negli ultimi tempi, l'AFM sembra una delle poche organizzazioni sindacali americane che funziona;
3) la musica è solo un lavoro che deve generare denaro e celebrità; non sono ammesse altre teorie che entrino nel merito, e che magari addirittura analizzino il senso, la necessità della forma artistica;
4) Nell'era della globalizzazione, le merci devono viaggiare ma l'umanità deve stare ferma;
5) in estrema sintesi, il pensiero o è una roba che “ce la fa” (condiviso dalle migliaia, riconosciuto dal sistema, influenzatore e moltiplicatore di soldi) o nisba. Milioni di pensieri artistici che non diventano virali, e quindi non vincono nulla, finiscono ogni giorno nella pattumiera dell'indifferenziata, e vai a capire se non erano ancora buoni.


Piove sul concertone del 1 maggio, piove sui mediocri che dal palco scimmiottano gli americani (in effetti, stanno sicuramente lavorando, che poi facciano anche musica è meno sicuro); piove sui giovani senza lavoro che accorrono gratis a bere le parole sconnesse di falsi poeti e di sindacalisti retorici, e fra una canna e una birra e una canzone sguaiata passano la giornata (domani si vedrà).


Piove, tristemente, sulla festa del lavoro e dei lavoratori.

Servirebbe una festa del pensiero, ma se ne sono già appropriati gli Scout.


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